Il ceo di Miroglio Alberto Racca,32 anni, crea un consiglio di amministrazione ombra per coinvolgere tutti i millennials nelle decisioni strategiche

Lo stagista ha sempre ragione. E adesso siede in consiglio di amministrazione accanto a Ceo e presidente. Con lui ci sono anche l’impiegato «prodotto», l’addetto marketing e altri 9 colleghi. Capita ad Alba, alla Miroglio, 500 milioni di euro di ricavi, 9 brand di abbigliamento e 3.800 addetti, dove il ceo Alberto Racca, 32 anni, ha deciso di creare uno «shadow board», un Cda ombra, nel quale partecipano «millennials con buone idee in testa»; e quindi perché no «anche impiegati senza gradi». Alberto Racca è l’eccezione che conferma la regola. Torinese, classe 1989, per far carriera, da «giovanissimo», ha fatto le valigie ed è volato a Milano. Si è fatto le ossa nella società di consulenza McKinsey e poi nel private equity Pillarstone (gruppo KKR). Ma per fare il salto verso l’alto è tornato indietro. Ad Alba, dove la famiglia Miroglio ha deciso di affidargli, prima la direzione strategy e transformation dell’azienda, e poi, dopo due anni, il governo dell’intera impresa. «Era la fine del ‘19, e il periodo Covid era alle porte. L’emozione per la nomina è durata poco, abbiamo dovuto subito indossare l’elmetto, e pensare ai nostri 900 negozi tutti chiusi e al futuro del retail nel mondo del new normal».

Alberto Racca, i talenti fuggono dalla «Baviera d’Italia». Lei invece in due anni è tornato in Piemonte ed è diventato Ceo di una grande azienda.
«L’azienda era già fortemente managerializzata, lontana da certi modelli padronali che in Italia, non solo nel cuneese, rischiano di atrofizzare il capitale umano anziché esaltarlo. Quindi non ho avuto difficoltà a spingere ancora di più l’acceleratore su modelli di gestione delle risorse basati su leadership condivise».

Che cosa è il Cda ombra?
«È un gruppo di 12 giovani, non necessariamente manager con posizioni apicali, anzi molti sono impiegati, che ci aiuta nelle scelte da prendere per il futuro. Per capire meglio di che cosa si tratta bisogna tornare ai giorni del marzo 2020: negozi chiusi, futuro incerto, e una sola consapevolezza: il nostro mondo, quello dell’abbigliamento avrebbe cambiato volto. Avevamo bisogno di nuove idee. Tante le abbiamo trovate al nostro interno».

Ad esempio?
«La digitalizzazione del retail. Dall’inserire tutti i nostri negozi nelle piattaforme Google My Business sino ad immaginare nuove modalità di acquisto. E non mi riferisco solo all’ecommerce ma a modelli ibridi. Questo approccio decisionale funziona. Io non credo che funzioni, almeno non più, quello del manager che tutto sa e tutto fa e vede i collaboratori come meri esecutori».

Quadri e dirigenti più agé non saranno tanto contenti. Si sentono scavalcati?
«Siamo tutti professionisti. E tutti sappiamo quanto sia diventato complesso il mondo. Servono idee e bisogna pescarle in ogni dove: meglio ancora se arrivano da dentro l’azienda. E infatti una delle prime cose che ho fatto in Miroglio è stata scrivere un vademecum».

Che cosa dice?
«In azienda dobbiamo essere tutti imprenditori. Questa è la prima regola. Poi al centro ci sono i nostri clienti; focalizzarsi sulle soluzioni e non sui problemi; ogni decisione va supportata dai dati. Tutti devono capire che sono importanti: dagli stagisti in su».

Ma poi assumerete lo stagista che siede con voi in Cda?
«(ride, ndr) Già fatto, ovviamente. Oggi lavora nel team prodotto. Ha solo 24 anni, ma è molto in gamba. Come del resto altri millennials».

Con questa strategia conta di rendere più attrattiva l’azienda per nuovi talenti da assumere?
«Sì ma non basta. Alba è troppo isolata. Il posto è magnifico. Noi cerchiamo di fare gruppo costruendo un tessuto sociale tra colleghi. Ma non possiamo fare miracoli. Vanno costruite autostrade fisiche e digitali. Altrimenti non ci sarà strategia che tenga».

Fonte: https://torino.corriere.it/